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I Vicerè | 255 |
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— Noi abbiamo fatto il dover nostro — continuava l’oratore — come voi il vostro. Non poche gocce di sangue, ma la vita stessa avremmo voluto immolare alla gran causa.... degni d’invidia, non di rimpianto, sono quelli che poteron dire morendo: «Alma terra natìa, la vita che mi desti ecco ti rendo....» Onore ai forti che caddero!... A voi toccò ufficio non meno superbo: dare all’Europa ammirata l’esempio d’un popolo che spezzate le sue catene, lasciato in balìa di sè stesso, già mostrasi degno di quelle libere istituzioni che furono suo secolare retaggio.... che un potere aborrito e spergiuro osò cancellare.... ma che splenderanno di più vivido raggio!... Cittadini! Applaudite voi stessi.... applaudite i vostri reggitori.... applaudite questi guerrieri fratelli che dolenti di non poter pugnare con noi, tutelarono i vostri focolari.... applaudite questo insigne patrizio che alle glorie dell’avito blasone accoppia quelle del patriottismo più puro.... — Egli additava alla folla il duca, maestoso e marziale nella divisa di maggiore. Ma questi, all’idea di dover rispondere, si sentì a un tratto serrar la gola, vide a un tratto la piazza trasformata in un mare terribile, vorticoso e ululante, le cui ondate saettavano sguardi; e lo spasimo della paura fu tale ch’egli dovette afferrarsi alla balaustrata. Però Giulente riprendeva, nella stretta finale, tra applausi assordanti: — Cittadini! Prodigioso è il cammino da noi fatto in cinque mesi; ma un ultimo passo ci resta.... L’entusiasmo dal quale vi veggo animati mi dà guanto che sarà fatto.... Il sole di domani saluti la Sicilia unita per sempre alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele!»
Già i sì colossali erano tracciati sui muri, sugli usci, per terra; al portone del palazzo il duca ne aveva fatto scrivere uno gigantesco, col gesso; e il domani, in città nelle campagne, frotte di persone li portavano al cappello, stampati su cartellini di ogni grandezza e d’ogni colore.