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parte prima 29

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Uscito dalla capitale del Magadha, che tale era la città di Râjagriha prima che Kâlâçoka trasportasse la sua corte a Pâtaliputra, si diresse verso il villaggio di Uruvilvâ[1] sulle rive del fiume Nâiranjanâ.[2] E siccome il paese dintorno al villaggio era assai deserto, e molto acconcio alla meditazione e allo studio, vi rimase in eremitaggio, menando vita austera, e mortificando il corpo con frequenti digiuni. Per sei anni Siddhârta rimase in quel luogo in continua penitenza, cercando crescere in sapienza e in virtù. E dettesi in ispecial modo a quella scienza che allora era chiamata Prâdhana; la, quale consisteva nella contemplazione della natura, ed era uno dei metodi in vigore nell’India, fra i metafisici di quel tempo, indirizzato all’acquisto della perfetta cognizione delle cose: metodo che sembra essere stato prodotto dallo studio brâhmanico dei Veda, e che prevaleva appunto nell’epoca del brâhmanismo.[3] Ma accortosi finalmente, che nè le macerazioni nè i digiuni, che avevangli sfinito le forze del corpo, nè la continua contemplazione, lo avevano condotto al proprio perfezionamento e all’acquisto della conoscenza del mondo, ritornò al primo modo di vivere; e lasciò quelle inutili e irragionevoli astinenze e mortificazioni. Della qual cosa i cinque brâhmani, che fino allora gli erano stati amorosi discepoli, cominciarono a mormorar forte; e scandalezzati di quel


  1. Da urû, grande, e velyâyâ, sabbia (Turnour, Mâhâvança, lvxi). Il luogo scelto dal Buddha per suo eremo era la valle a oriente del villaggio di questo nome.
  2. Questo fiume, che oggi è chiamato Nilajana, dopo aver ricevuto ad oriente il fiume Mahi o Mahânda, forma il Phalgu, che passa sotto la città di Gayâ e continuando il suo corso verso il nord si getta nel Gange. (V. St. Martin, loc. cit. p. 125.)
  3. Wheeler, The History of India, t. iii, p. 116-117.
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