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parte prima 41

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il Buddha, Confucio e Lao-Tse.djvu{{padleft:112|3|0]]venerati dai più fanatici, come santi. La religione di Çâkyamuni, per quanto non fosse scevra di errori, si distingueva dagli altri sistemi per la sua semplicità e purezza. I suoi insegnamenti scendevano propizi, quasi pioggia benefica che cada a fecondare un terreno riarso, per ravvivare nell’uman cuore intristito sensi di socievolezza e di umanità: imperocchè il Buddha predicava tutti i precetti che incombono alla carità universale, e una morale che ha la sua espressione nei cinque comandamenti fondamentali: non uccidere, non rubare, non fornicare, non mentire, non ubriacarti. Esortava i suoi uditori a fuggire i falsi maestri, ignoranti della vera legge, a non cercare altra compagnia che del saggio, il quale cammina pei quattro sentieri che menano al Nirvâna: gli eccitava ad essere umili, amorosi, pazienti; e ricordava loro che le afflizioni e i dolori della presente vita sono la giusta punizione del male commesso nelle vite antecedenti; ricordava loro che le buone opere avranno premio nelle esistenze future: esistenze che la legge fatale della trasmigrazione ci riserva, fino a che non ci siam resi degni di rompere per sempre la catena interminabile dei rinascimenti.[1] Ad un Dêva, che la leggenda dice fosse apparso una notte al Buddha per richiederlo d’insegnamenti intorno alla dottrina di lui, il Buddha stesso parlò in questi termini: «Oh giovane Dêva, sonovi molte eccellenti cose, a cui uomini e Dei debbono attendere per farsi meritevoli di conseguire lo stato di Nirvâna: fuggire la compagnia degli insani, ricercar quella dei savi, professar rispetto a chi n’è degno, accontentarsi del proprio stato, cercare d’esser sempre capaci di bene operare, procurare d’accre-


  1. Wheeler, op. cit., p. 125-126.
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