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122 | parte prima |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il Buddha, Confucio e Lao-Tse.djvu{{padleft:193|3|0]]Çâkyamuni, e l’avevano conservata in quello scritto, aspettando che gli uomini fossero capaci d’intenderla: fino allora il mondo dovette contentarsi del solo Hinayana, o di ciò che il Buddha aveva spiegato al volgo.
Tutto quello che serve di soggetto alle dottrine del Buddhismo primitivo è osservato nel Mahâyâna sotto un altro aspetto. Il mondo o Sânsâra, che era degno di dispregio e di rinunzia, solo perchè non offre che dolore, pei seguaci del Mahâyâna invece è tale, perchè è privo di realtà e verità, perchè vacuo; laonde niente merita quaggiù la nostra attenzione, e nemmeno un solo dei nostri pensieri. Le parole vuoto e vanità, che erano adoperate nel primo periodo della storia del Buddhismo, a significare la insussistenza d’ogni sorgente mondana di felicità, più tardi invece si adoperarono a significare la non realtà di tutti i fenomeni della natura. — La stessa sorte ebbero pure altre parole, durante questo tramutarsi della dottrina.
Secondo la scuola Mahâyâna, tutto quello che esiste, esiste solo nella nostra immaginazione e perchè abbiamo convenuto che esista; ma non è che un illusione, una vanità.[1] — Il mondo deve la sua esistenza alla immaginazione, e alla credenza nella sua realtà.[2] Per la qual cosa, devonsi considerare le creature animate solo come visioni, come vane immagini, come il brillare del tremulo riflesso della luna nelle onde di un fiume.[3] — Non v’è proprio nulla di reale nella esistenza delle cose, nulla! Tutto è simile all’eco, all’om-