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156 parte prima

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il Buddha, Confucio e Lao-Tse.djvu{{padleft:227|3|0]]un tutto con la divina sostanza di Brahman. — Anche Pitagora pensava che lo spirito, dopo la morte del corpo ne occupasse e ne animasse un altro.[1] — La metempsicosi buddhica non è pertanto la trasmigrazione dell’anima o dello spirito per diversi corpi, come credevano i Brahmani e i Pitagorici. Il Buddhismo al contrario afferma, che alla morte, lo spirito perisce col corpo; ma dalla completa dissoluzione dell’individuo nasce un altro Essere, che sarà animale, uomo o dêva, secondo i meriti o i demeriti ch’egli ha, cioè secondo le azioni che ha fatte nella vita passata. Al dire dei Buddhisti, la trasmigrazione è dunque cagionata e regolata dalla efficacia dei meriti o dei demeriti, la quale ha nome Karma; ma questa efficacia è di tal natura, che un Essere, il quale è arrivato al termine, del suo vivere, non trasmette nulla della sua entità all’individuo immediatamente riprodotto per cagion sua. Quest’ultimo è un Essere distinto, indipendente dal primo; creato, è vero, dall’influenza dei meriti o demeriti dell’ultimo, ma non avente nulla di comune con lui. Il Karma, o l’influenza dei meriti e dei demeriti, produce le creature, in quella guisa appunto che i frutti, i quali possono essere buoni o cattivi, producono alberi totalmente distinti gli uni dagli altri.[2] Il Buddha spiega la dottrina della trasmigrazione per mezzo d’una similitudine, e dice: «Una lampada può essere accesa per mezzo, di un’altra; entrambe accese, appariranno distinte, ma la seconda ha la sua luce dalla prima, e senza quella non si sarebbe potuta accendere. L’albero produce il frutto, e dal frutto nasce un altro albero, e così via. L’ultimo albero non è pertanto lo


  1. Vedi anche Aristotele, Trattato dell’anima, cap. iii, § 23.
  2. Bigandet, p. 21 in nota.
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