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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il Buddha, Confucio e Lao-Tse.djvu{{padleft:426|3|0]]insegnano, che ogni Stato cinese aveva un istoriografo, il cui ufficio era tra’ principali delle corti; e inoltre s’è veduto, ch’era usanza d’incaricare, per fine politico, un magistrato di far raccolta di canzoni popolari; le quali venivano lette e studiate da’ sovrani e da’ ministri, perchè la cosa pubblica procedesse secondo l’indole e i bisogni della nazione. Gli archivi di Stato dovevano dunque essere ricchi di documenti storici, lasciati di mano in mano dai vari istoriografi di corte; e abbondar pure di collezioni poetiche, fatte in varie occasioni, e diverse secondo i paesi dove furon raccolte. Sse Ma-tsien pretende infatti che il numero di tali composizioni poetiche, a’ tempi di Confucio, fosse di tremila.[1]
Per la qual cosa Confucio, amantissimo, come egli si confessa, delle memorie dell’antichità, aveva modo di soddisfare ampiamente a quell’ardente desiderio di conoscerla e d’investigarla in molte parti. E che egli abbia quindi preso a studiare le storie del suo paese nativo, e gli avvenimenti successi al cominciar della civiltà cinese; che egli abbia ricercato, scelto e imparato a memoria gran numero di quelle canzoni, che rammentavano le virtù dei savii antichi, le quali facevano quasi rivivere i tempi passati, oggetto de’ suoi più cari pensieri, è cosa tanto naturale, che non è mestieri spendervi parole; ma non credo che sia egualmente naturale il supporre, ch’egli sia proprio l’autore o il compilatore di tutte quelle scritture. Egli molto si adoperò a conservarle e a tramandarle a’ posteri: la Cina è obbligata a lui se oggi le possiede. E Confucio infatti, come altre volte s’è detto, e come fa giudiziosamente notare il critico cinese menzio-
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