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xliv introduzione

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il Buddha, Confucio e Lao-Tse.djvu{{padleft:49|3|0]]parte dell’Impero. Gli stessi sovrani dettero credito a queste pratiche di volgare superstizione, e la corte fu piena di alchimisti e di maghi, ai quali s’era dato il nome di Tien-sse, o Dottori celesti. Dalla dinastia degli Han fino alla dinastia regnante, la setta dei Toasse ha continuato ad estendersi non solamente nella Cina, ma ancora nei paesi vicini; ed è in vigore oggidì nella Cocincina, nel Tongkino e nel Giappone.[1]

Fra la moltitudine delle opere prodotte dai seguaci di Lao-ze, nessuna gode di tanta autorità, quanto quella che porta il titolo di Kan-ying-p’ien, ossia «Libro delle ricompense e delle pene». È essa un codice di morale taoistica, dove in mezzo a insegnamenti della più pura morale si trovano curiose puerilità. Al pari dell’Evangelio, il Kan-ying-p’ien condanna quelli ancora qui mœchantur in corde suo; e raccomanda la purità non solo delle parole e delle opere, ma anche dei pensieri.[2] Noi diventiamo colpevoli, dice il codice taoistico, dal momento che abbiamo concepito il desiderio di peccare.[3] Dall’altro lato poi, alcune minute particolarità spandono qualche volta il ridicolo fra queste massime di morale veramente cristiana: e ciò


  1. Grosier, Description de la Chine, p. 571; — Julien, Livre des Récompenses et des Peìnes, p. vii-viii.
  2. Kan-ying-p’ien, trad. del Julien p. 512, 516.
  3. Ibidem, p. 328.
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