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106 LA PRIAPEA

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LXXVIII.

Soleano all’orto mio venire il giorno
  Mille fanciulli, e trattenermi in berta.
  Chi correa per quel chino e per quell’erta,
  4Chi il capo mi facea di fiori adorno.
Or ne piglio vergogna ed honne scorno,
  Ch’ove l’entrata più si vede aperta,
  Quanto più mostro i fatti alla scoperta,
  8Tanto il dì manco me ne veggio intorno.
Quest’è l’angoscia che mi fa ’nvecchiare,
  Onde la barba ho bianca con la chioma,
  11Ma pur non me ne vo’ maravigliare,
Che i putti come han spalle per la soma,
  E le carrette possono tirare,
  14O de’ Principi sono, o vanno a Roma.


LXXIX.

Vorrei pur moderarmi nel parlare,
  Che sciocchezza non tengano la mia,
  Ed accadendo a farne dicería,
  4Nomar con qualche cifra il buggerare.
Ma come si puote egli moderare?
  Il gire al tondo par che il simil sia
  Pierluigiare, [1] va per quella via.
  8Infilzar perle ha troppo del volgare.
Voler alla gallina trovar l’uovo
  Gliè parlar da Filosofi discreti,
  11E poi gliè un motto che non ha del nuovo.
S’io vo’ chiamarlo l’arte de’ poeti,
  Ha pur del vecchio, tanto che non trovo
  14Più proprio dir, che’l sollazzar de’ Preti.

  1. Pier Luigi da Farnese; lo stesso che se ne parlò alla nota del sonetto 55. pagina 94.
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