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146 LA PRIAPEA

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CLVII.

Di grazia troviate altro ricetto,
  Che de’ miei orti, io parlo a voi, donzelle,
  Che siete fresche fresche e verginelle,
  4Nè conoscete furia di pazzo.
A me non piace di sentir schiamazzo
  D’intorno al vostro rompere di pelle,
  Ed ho per male in queste bagattelle
  8La prima volta insanguinarmi il cazzo.
Questi son pasti dall’imperadore,
  Che non vuol potta, s’ella non è zita [1]
  11E s’egli prima non ne coglie il fiore.
Gitene a lui, ch’è via meglio spedita,
  Che seppur vi vitupera l’onore,
  14Di là a tre giorni almanco vi marita.


CLVIII.

Priapo, a i panni neri e vedovali,
  Conoscer puoi ch’io sono vedovella,
  E benché paja in vista santarella,
  4Si fa per l’indulgenzie papali.
Appresso te non voglio altri sensali,
  Se non la voce della mia favella.
  Solo al mover ch’io fo d’una mascella,
  8Mi puoi veder l’orina senz’occhiali.
Non ti paja mirabile nè strano,
  Se per tener i fatti miei celati
  11Ne vengo a te co’ pater nostri in mano.
Questi sono i ruffiani de’ peccati;
  E poi tu sai, che ovunque capitano
  14L’ipocrisia si predica da’ frati.

  1. Vergine.
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