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Non men che dotte amiche stanze, dove
Undici nazioni in una sera,
La Cinese tra lor, concordi e giusti
140Offerivano incensi ad Isabella[1];
A Isabella, che ohimè! le stanze usate
Or non abita più fuor che dipinta.
Dei garzon vispi e delle vaghe donne
Eletto, più che folto, era lo stuolo.
145V’avea quella gentil[2], cui Milan cesse,
Onde il famoso germogliasse ancora
Ceppo del non degenere Soranzo:
L’altra[3] v’avea, per cui tonâr di gioia,
Quando la salutò sposa Rialto,
150E la natia Verona in pianto stava,
I bellici tormenti, e tanta udissi
Di cetere armonia sull’onde salse.
Agile, come ai passi, ai cari motti,
Non mancava colei[4] che le sue sale,
155Prospettanti di Marco il nobil foro,
Apre a lauti convivi e allegri balli:
Nè lei[5], che troppo spesso il bel sembiante
E i vezzi accorti alle cittadi invola,
Per dilettar di sè Tempe frondosa;
160Ch’io vidi, io stesso, al traduttor[6] di Flacco
Figgere un dardo nel non vecchio core:
O la dolce compagnia[7], a cui bambina
Dava l’Adria contento il proprio nome,
Presago che dovea la pargoletta
165Redar dell’ingegnosa amata zia
(Che illustrò di Vinegia i dì festivi)

  1. Teotochi Albrizzi.
  2. Rachele Londonio.
  3. Teresa Mosconi Papadopoli.
  4. Caterina Quirini Polcastro.
  5. Antonietta Pola Albrizzi.
  6. Tommaso Gargallo.
  7. Adriana Renier Zannini.
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