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Segretaro, or Tiberio ed or Catone
Ne’ sensi, nello stil Tacito sempre
O Sallustio, e talor Sejano in core:
Ma, poi che tal cognome non raddoppia
525La lettera, che simula la luna
Quando volge le corna all’occidente,
Accomiatar con doloroso addio
O fa d’uopo sì nobile parola,
O al ma starsi contenti ed al chiavello,
530Che poco dice al cor, poco all’ingegno.
So che dell’Allighier l’arbitro verso
La lettera scempiò, di cui favello,
Onde il figliuol di Semele e di Giove
Con laco rimeggiasse e con Benaco;
535Ma nel breve confin dell’epigramma
Di prodotto poema le licenze
Concedersi è viltà: però disdetto
Dal costumar degli Ottimi non viene
Sillabe, che, congiunte alla lor voce,
540O van disaccentate, o scritte vanno
Senza segno majuscolo, divise
Considerarle, valutarle, quasi
La majuscola ottengano e l’accento.
Nel vocabol diletto il primo splende,
545Se ti giova, dirai; nè quel Maestro
Di poesia, che delle nove Suore
Cantava il nascimento, in mercè, credo,
Che a lui sì vivo amor ponesser tutte;
Nè il genero suo degno, che vergava
550Gl’Itali fogli del più puro inchiostro,
Rifiutavan poeta e calamaro,[1]

  1. Fiume altero - è il mio primiero;
    Per la morte - d’un gran forte
    Chiaro al mondo - è il mio secondo;
    Il mio tutto è un ente ardito,
    Or lodato, ora schernito
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