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Troppo non si accarezzi, e sugli alterni,
Utili favellari o dilettosi,
Non le accordi il Favor soverchio campo.
Ah! nelle Costei reti incauto core,
765Che s’avviluppi oltre misura, (sia
Franca la verità, nè assenta il cielo
Che inavvertito dal mio labbro parta
Chi con periglio a femmina s’accosta)
Più libero non è; l’ora ed il loco
770Del trastullo non pur, ma l’util tempo,
E il gabinetto, a’ gravi studii sacro,
Fansi di lei; vien di repente tronco
Un pindarico volo a quel che l’estro
Del poeta più spazia; e, quando gli occhi
775Stanno de’ Sofi sulle eterne carte,
In esse il santo ver, l’amabil bello
Non attraggono più, ma, come il Sardo[1]
Correggitor di letterate pecche,
Dell’isola natia tolto alle storie,
780E le origini dato e la fortuna
A meditar dell’Itale parole,
Ne’ libri, che svolgea, pensieri e affetti
Più non curava, se a lui stesso credi,
Ma voci solo ed etimologie;
785Tal chi del proprio core ambo le chiavi
All’eroina de’ miei canti affida,
Dal racconto patetico, dal sodo
Ragionamento fia che si dismaghi,
Perchè gli sbalza al guardo affascinato
790Un prepotente sciaradabil motto.
  Meglio, che riprodur sott’altro aspetto
Disfiorato vocabolo, ti sembri
Un vocabolo vergine produrre.
Conosco che non vuole arte men fina

  1. Il cav. Giuseppe Manno autore De’ Vizii de’ Letterati, Della Fortuna delle parole, e d’una Storia della Sardegna.
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