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895Che a mascherata illustre danza giunse,
Non col nome, coll’abito e co’ fiori
Di pastorella, che in Arcadia nacque,
Non co’ veli funébri e i nereggianti
Velluti della misera Stuarda;
900Non ritraendo in sè la Ravennate,
Che insanguinava Rimini, quantunque
Sì calde sul domestico poema,
Per pietade di lei, lagrime sparga;
Ma più presto la tua, Cesare amato[1],
905Giovin Romilda, quale a noi si mostra
Della Lombarda antica strenna in fronte.
Sventurata Romilda! In fra gli altari
Le fralezze d’un primo amor non vinto
Al ministro di Dio svelar credendo,
910Al marito svelavale, ed in vece
Della destra, che assolve, in alto il fiero
Lampo mirò del vindice pugnale.
Tu non vedesti, o Cesare, quegli occhi,
Le ciocche di quel crin, giù per lo viso
915Riccie e folte, e per l’omero diffuse,
Non udisti i sinceri universali
Plausi di questa tua Romilda intorno,
Tu[2] che dai muri cittadini, e lunge
Dal tripudio di sale e di teatri,
920Solo e pensoso, del tuo laco in riva,
Placida vivi e dolce vita, i tuoi
Mesti amori or cantando, or la natura:
Pur, come di sì amabili trionfi
Sentore a te pervenne, il tuo di vate
925In pria gonfiossi moderato orgoglio,
Ma tosto, del natio laco quasi onda,
Che s’ingrossa un momento e poi ricade,

  1. Cesare Betteloni
  2. Allora il Betteloni non avea scritto la sua ode a Carolina Ungher
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