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QUINTO 81

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XXVII.7


Nocquegli ancora l’esser padovano,
  Suddito d’Ezzelin, benchè innocente;
  Non volendo il Pontefice romano
  220Aver fede ad alcun di quella gente.
  Ma certo ei fu prelato e cortigiano,
  Fra gli altri in quell’età, molto eminente:
  E dallo sprezzo d’uom sì saggio e prode
  224Il Papa non ritrasse alcuna lode.

XXVIII.


Egli partì da Vienna in sulle poste:
  E nel passar dell’Alpi, a un ponte rotto,
  Il perfido caval per certe coste
  228Lasciò cadersi, e non gli fece motto;
  Anzi da discortese e bestia d’oste,
  Stava di sopra, e Monsignor di sotto:
  Onde la nunziatura indi levata,
  232Con mal augurio fu mezzo spallata.

XXIX.


Quivi ei montò in lettiga; e seguitando
  Con una spalla fuor d’architettura,
  Giunse appunto a Bologna il giorno quando
  236L’esercito uscía fuora alla ventura.
  Si fe’ porre il rocchetto, in arrivando,
  Da don Santi, e salì sopra le mura
  Dove all’uscir della città, le schiere
  240Chinavano a’ suoi piè lance e bandiere.

XXX.


Ed egli colla man sovra i campioni
  Dell’amica assemblea, tutto cortese,
  Trinciava certe benedizioni,
  244Che pigliavano un miglio di paese.
  Quando la gente vide quei crocioni,
  Subito le ginocchia in terra stese,
  Gridando: Viva il Papa e Bonsignore,
  248E muoia Federico imperadore.

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