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ELOGJ lxxxiii

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Sonetto di M. Alessandro Piccolomini fatto

in Arquà sopra il Sepolcro di

M. F. Petrarca

G
iunto[1] Alessandro alla famosa tomba

  Del gran Toscan, che ’l bell’Alloro amato
  Coltivò sì, che fu coi rami alzato
  U’ forza unqua non giunse o d’arco, o fromba,
Felice o, disse, a cui già d’altra tromba
  Non fa mestier; che ’l proprio alto, e pregiato
  Suon della lira tua sonoro, e grato
  Sempre più verso ’l ciel s’alza, e rimbomba.
Deh pioggia, o vento rio non faccia scorno
  All’ossa pie: sol porti grati odori
  L’aura che ’l ciel suol far puro, e sereno.
Lascin le Ninfe ogni lor’antro ameno.
  E raccolte in corona al sasso intorno,
  Liete ti cantin lodi, e spargan fiori.


Sonetto d'Incerto sopra le[2] ceneri del

Petrarca, e di M. Laura

Si trova in alcune edizioni del Petrarca, cioè in quelle del Vellutello, e del Gesualdo.

L
Aura, che un Sol fu tra le donne in terra,

  Or tien del cielo il più sublime onore:
  Mercè di quella penna il cui valore
  Fu che mai non sarà spenta, o sotterra;
Mentre, facendo al tempo illustre guerra,
  Con dolce foco di celeste amore
  Accende e infiamma ogni gelato core,
  Le sue reliquie il picciol marmo serra;

E le

  1. Vedi il Petrarca nella I. P. delle Rime, Sonetto CLIV.
  2. Ne sarà stata forse unita una porzione di qualche affettato, e superstizioso ammiratore d'amendue.
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