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APPENDICE

SULLE ALLEGORIE VINCIANE


Già da parecchio tempo gli studiosi di Leonardo da Vinci si sono interessati agli schizzi e alle note allegoriche sparsi ne’ suoi manoscritti, sia per trovarne la fonte letteraria, sia per darne l’esatta interpretazione, sia per indicarne con sicurezza lo scopo.

Le fonti principali delle allegorie tolte dal mondo delle bestie sono, com’è noto, il «Fiore di Virtù», l’«Acerba» e «Plinio»[1] che restarono, per tutto il Quattro e il Cinquecento e più in là, le fonti tradizionali di tutte le imprese cavalleresche e amorose che allietavano armi, libri, veli, capitelli, vesti, porte, cassapanche e medaglie.

Chi apra i trattati del Giovio, del Simeoni, del Ruscelli ritrova molti e molti dei simboli raccolti da Leonardo, simboli di carattere generale, adattati bellamente a questo o a quel proposito.

Qui cade opportuno osservare la distinzione che i nostri antichi facevano tra emblema e impresa. Prima di tutto,

  1. Cfr. G. Calvi, «Il ms. H. di Leonardo, il Fiore di Virtù e l’Acerba» in «Arch. Stor. Lomb.», 1898, p. 73 e sgg.
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