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236 dell’istoria di verona

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Maffei - Verona illustrata I-II, 1825.djvu{{padleft:266|3|0]] Una delle più importanti ricerche che far si possa da chi scrive l’Istoria d’una città, dovrebbe esser quella d’indagare gli antichi suoi confini, e i termini del territorio suo e della giurisdizione. Ci converrà in questa parte confermar qualche volta anche con monumenti di basso tempo gli argomenti e le congetture. Confine adunque de’ Veronesi a Mezzogiorno fu il Po, trenta moderne miglia dalla città; il che si dimostra per Tacito (Hist. lib. 3: Hostiliam vicum Veronensium), che chiama Ostiglia Vico de’ Veronesi; e con Plinio, da cui s’impara, come Ostiglia era anche allora sul Po: forse per tal nome, che sembra diminuito alla Greca, vien indicato che Porticelle[1] e bocche fossero quivi allora, per le quali si scaricasse in Po parte dell’acqua di quella palude, e de’ piccioli fiumi che in essa mettono. Continuò quella terra ad esser di nostra ragione quasi fino al 1400, e continua ad esserne tuttora nell’Ecclesiastico. Dall’esser compreso nella Diocesi nostra insieme con più altri luoghi del Mantovano anche Belforte, o sia l’uno de’ due castelli, che porta l’armi Scaligere ancora, sette miglia da Mantova, si rileva fin dove arrivasse già il tener nostro da quella parte. Il Castellaro, donato nel 1082 dall’Imperadore Enrico al Vescovo di Trento, dicesi nel diploma ch’era presso il confin Mantovano, e però nel Veronese (Ughel. t. 5, c. 594)

A Ponente nostro confine fu il Chiesio, trenta

  1. L’Autore accenna in margine de1l’esemplare postillato, che sussistono ancora. — Gli Editori.
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