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Le donne cantavano sempre: erano sette vedove, sette maritate e sette ragazze. Tra le vedove c’era la sorella di Giacobbe, che gli veniva a fianco, rosea e fresca nonostante il grave dolore che la opprimeva; la sua vocina sottile e stridente come il canto d’un grillo emergeva al di sopra di tutte.

Santu Pretu a mare andei,
Ses jaes nde li rughei;
E li rispondent Deu:
— It’ às, Pretu meu?
— A ssu pè m’at datu mossu,
A ssu coru, a ssu dossu.
— Lea s’ispina trista.
E ponebila pista,
E ponebila tres dies
Chi Petru sano sies.
Tarantula ’e panza pinta,
Chi fattesit fiza istrinta,
Fiza istrinta fattesit,
Una pro monte nde lassesit;
Una pro monte, una pro bbacu,
Mòlthu m’àsa e mòlthu t’àpo.[1]

  1. Ispina trista o santa, della quale si fece la corona di Nostro Signore: le foglie di questa pianta in Sardegna sono dal popolo usate per medicamenti.

  1. San Pietro al mare andò,
    Le chiavi dentro gli caddero;
    E gli rispondo Dio:
    — Che hai, Pietro mio?
    — Al piè mi ha morsicato,
    Al cuore, al dorso.
    — Prendi la spina triste[x 1]
    E mettila pesta,
    E mettila tre giorni,
    Talchè, Pietro, sii sano. —
    Tarantola del ventre dipinto,
    Che fece figlia stretta,
    Figlia stretta fece,
    Una per monte ne lasciò,
    Una per monte, una per valle,
    Ucciso m’hai e t’ho ucciso.
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