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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:174|3|0]]tro mura trovasi reso all’aria aperta, alla dolcezza di fare quel che vuole, d’andare dove vuole, all’onore di galantuomo, al parlar liberamente, al credere quel che v’è detto, all’essere creduto quel che si dice[1].

Volai dalla Rita, Poverina, se era stata dolorosa tutto quel tempo! Ma ora i crucci erano finiti: i Francesi tornavano, ma più quieti, più docili, più religiosi: un ordine, un’armonia da non dire; e i partiti trovavano il loro conto a mettere a monte gli odj, dopo essersi ciascuno alla sua volta fatto il più male che potevano; tutti avevano sofferto e fatto soffrire abbastanza per accorgersi che si fa tristi avanzi dal far male: beati quelli ch’erano divenuti savj dei danni altrui!

La somma fu, che tra breve si fecero le nostre nozze, e io rizzai casa, badai ai fatti miei, e contento come un frate, tornai camparo dell’illustrissima casa, e ci sto da trentadue anni, e va pei trentatrè; e la conto, e mi è dolce il rammentare quante cose ho visto cambiarsi intorno a me.

Vede là una vecchierella crogiolata sulla soglia di quell’uscio, con un bambino sulle ginocchia, e un altro che le fa chiasso ai piedi? É la vivace, la leggiadra Rita, coi figliuoli del nostro figliuolo. Ved’ella questa pianura di campagna, tutta piantata a gelsi, tutta ricca di grano turco? Io la vidi rasa come questa palma di mano, con terrapieni qua, e là fossati, con vestigia di fuochi, di spedali, di trabacche, e quel ch’è peggio, sparsa di sangue, di morti, di feriti, e gente ingorda che andava a frugarli per cavarne di tasca alcuni quattrini, e spo-

  1. Vedi l’aggiunta dopo questa novella.
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