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Urla, grida, schiamazza ebrifestante,
Nobil, plebeo, vecchi, fanciulli a torme
Vanno e tornan più volte....
Non è vergogna star fra’ pazzi avvolte,
Anzi sembra che il savio si canzoni,
Ed abbia laude il bizzarro e lo stolto.
Così ritorna la Ruota verso la piazza, e.
.... a prender lena,
Lo sparto condottiero a poco
In fra le due colonne il corso affrena.
Il popolo trabocca d’ogni loco,
Sì la gran piazza n’è ripiena e folta,
Che il vasto spazio a contenerlo è poco.
L’innumerevol turba quivi accolta
Va, gira, torna, ondeggia, si rincalza,
Spingesi alle muraglie e si rivolta,
Qual mar ch’or l’onde abassa ed ora innalza,
Del vento in signoria che lo scompone,
Serpe, rôta, spumeggia, urta, trabalza.
Ma per l’ultima volta omai si pone
La Ruota in corso, e al loco onde partio
Fra maggior plausi e grida si ripone[1].
- ↑ Questo spettacolo si rinnova anche per venute di principi e altre occasioni festive. Nel 1867, quando comparve coi colori del nuovo regno d’Italia, stamparonsi Memorie intorno alla Rua, dove se ne discorrono a lungo l’origine e le vicende, molto traendo dalla cronaca del conte Arnaldo Arnaldi Tornieri, perfetto gentiluomo, avverso alla novità per religione e per patriotismo, e che registrò dal 1767 al 1822 giorno per giorno gli avvenimenti di Vicenza, e perciò ogni anno la festa della Rua. Tra le ore nove (dicono gli autori) e le dieci del mattino, la processione, a cui interveniva il podestà, il capitanio, i deputati della città, tutte le fraglie, vescovo, canonici, preti, frati e monaci, usciva dalla parte di mezzogiorno della Cattedrale, e per la piazza Castello, pel Corso, e Santa Barbara, alla piazza; e di là per la Musicheria, ritornava al Duomo. Dinanzi ai deputati erano i Pifferi, la musica della città; erano sei, vestiti talvolta di scalatto trinsato di velluto e di argento, collo stemma della magnifica città.