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108 | discorso storico |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Opere varie (Manzoni).djvu{{padleft:114|3|0]]verisimile, anzi è talmente la sola verisimile, che si dovrebbe supporla quando non se n’avesse alcun documento. Ma ce n’è; e quell’egregio scrittore, le di cui diligenti, importanti, numerose scoperte saranno sempre un oggetto di riconoscenza, e una scusa abbondante per le sviste che possa aver fatte; quell’egregio scrittore non si rammentò che, in quelle stesse leggi longobardiche che furono ristampate e commentate da lui, sta scritto: «Se un Romano avrà sposata una Longobarda..., questa è diventata Romana, e i figli che nasceranno da un tal matrimonio siano romani, e seguano la legge del padre [1].» Sicchè questo fatto non serve ad altro che a somministrarci una testimonianza della separazione de’ due popoli. N’addurremo alcuni altri che l’attestano ugualmente, e dimostrano quindi quanto l’opinione opposta sia, non solo arbitraria, ma positivamente falsa, in contradizione perpetua con la storia e smentita dai documenti del tempo.
I. Da Rotari, che fu il primo, fino ad Astolfo, che fu l’ultimo de’ re longobardi di cui si siano conservate leggi, tutti, in testa a quelle, si sono intitolati: re della nazione de’ Longobardi [2]. Si domanda, se questa denominazione comprendeva tutti gli abitanti d’Italia, o la sola nazione conquistatrice. Se tutti; perchè dunque le leggi stesse distinguono Longobardo da Romano? Se la sola nazione conquistatrice; qual testimonianza, più autentica, più solenne, più concludente può cercarsi della distinzione politica delle due nazioni, che quella de’ re, i quali si chiamano esclusivamente capi d’una di esse: quel re che dai propugnatori dell’unità sono rappresentati come l’anello che le riuniva? Potevano far di più per avvertire il Giannone di non mettere in carta quelle strane parole: «Assuefatta l’Italia alla dominazione de’ suoi re?»
II. Tutti questi re promulgatori di leggi parlano poi dell’intervento de’ Giudici, o de’ Fedeli longobardi, o anche di tutto il popolo. Si domanda anche qui se, per popolo, si deva intendere tutti gli abitanti d’Italia. C’è stato alcuno che abbia detto, o c’è alcuno che voglia dire che gl’Italiani erano chiamati a dare il loro parere sulle leggi de’ Longobardi? E se no, come si può dire, che formino uno stesso corpo civile, una sola repubblica, due popolazioni, una delle quali, o in corpo o per frazione, concorre alla legislazione, e l’altra n’è affatto esclusa? A questo si darà forse una risposta, la quale, diremo anche qui, non può servire ad altro che a somministrare una prova di più al nostro assunto. Si dirà che le leggi promulgate dai re con l’intervento de’ Longobardi, obbligavano questi soli; che i Romani avevano la loro legge; e che a questi non si faceva torto, non chiamandoli a ciò che non li riguardava. Anzi, questo permesso dato ai Romani di vivere secondo la loro legge, è addotto come una prova della clemenza de’ vincitori [3]. Lasciamo per ora da una parte la clemenza, della quale si parlerà altrove: fosse questo, o qualunque altro, il motivo del fatto; il fatto medesimo, cioè l’aver leggi diverse, importa tutt’altro che unità delle due nazioni. Pretendere, che Longobardi e Romani fossero un popolo solo, e nello stesso tempo, che i Longobardi fossero un popolo clemente verso i Romani, è un attribuire ai primi due meriti incompatibili: per quanto buona volontà uno si senta di favorirli, bisogna pure scegliere tra i due sistemi di lode.
- ↑ Si romanus homo mulierem langobardam tulerit, et mundium ex ea fecerit,... romana effecta est, et filii qui de eo matrimonio nascuntur, secundum legem patris romani sint. Liutpr. Leg., lib. 6, 74.
- ↑ I due citati e Grimoaldo e Liutprando usano la formola: Rex gentis Langobardorum, Ratchi dice lo stesso con una perifrasi: Dum cum gentis nostrae, idest Langobardorum, Judicibus.... considerassem, etc.
- ↑ Clementi quippe, simulque prudenti consilio usi. In Leges Langobardor. Præfat. L. A. Muratori; Rer. It., tom. I, par. 11; ed altri.