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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Pavese - Il mestiere di vivere.pdf{{padleft:75|3|0]] molte lezioni e trovato un ritmo d’allievi. Speranze di altrettanto per il 1938.

Non è questo il momento perché una guerra d mandi tutto all’aria? Sarebbe un bel tratto di ironia cosmica. Varrebbe la pena.

Che non venga questa beffa e rispondo di me. E rispondo di lei. E rispondo di tutto.

[.....][1].

E in quest’anno è venuta al pettine la mia lunga e segreta vergogna. In quest’altro 1934 c’è anche il 13 agosto. Eppure vivo. Non è un miracolo?

31 dicembre.

Vi è un solo vizio, il desiderio, che si chiama, negli Ivan, ambizione; e nei Mitja, concupiscenza. La Genesi nella sua oscurità pone all’origine un’ambizione che può interpretarsi concupiscenza. Il tragico della vita è che bene e male sono la medesima materia d’azione — desiderio — solamente, colorata in modi opposti. Ma come colori veduti di notte che si distinguono o per partito preso o per istinto, mai per chiara conoscenza. Il fascino e il tremore del vizio è la trepidezza che dà di notte un colore che noi crediamo cosí e invece è diverso.

Noi maneggiamo masse di colore incerto, sovente credendo sia un rosso e invece è un blú, e trepidando sempre non appena vogliamo discemere. La tragedia del bene intenzionato è la tragedia dell’omino che dovrà avere ammassato all’alba tanto blú, e nel buio brancica e teme sempre di scegliere i rossi, e poi magari sono i gialli. La coscienza non è piú che un fiuto, un colore conosciuto al tatto.

Questo c’è di vero nell’«arte per l’arte»: ci si mette al tavolino e si gusta il puro arbitrio, un arbitrio cui la necessità di leggi interne è un sale, perché fa nascere da noi soli un ordine e una

  1. Omesse tre righe [N. d. E.].
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