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AL VOLUME II. 31

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All’indoman di Cípride — Fu per volere indetto
  De’ fior che in Ibla sorgono — Sia un tribunale eretto.

Da lei medesma preside — Decreti emaneranno;
  Compagne nel giudizïo — Le Grazie sederanno.

Ibla, i fior tutti versaci — Nell’anno intier raccolti,
  E stare quanti possono — D’Enna nel campo accolti.

Quì saran quante vivono — Fanciulle in ville o in monti;
  Quante in le selve albergano, — Ne’ sacri boschi o ai fonti.

Tutte, mercè il suo placito, — La Diva quì le aduna:
  Ad Amor senza spoglia — Vieta il dar fede alcuna.
  Ami domane, ec.

Già il toro il fianco adagia, — E la ginestra ingombra;
  Ecco belanti greggie — Co’ lor mariti all’ombra.

Quanto cammina o striscia, — E quanto spiega l’ali,
  Tutto s’affrena e abbracciasi — Con nodi conjugali.

Già senti i cigni garruli, — De’ stagni in mezzo all’onda,
  Col rauco loro strepito[1] — Far rintronar la sponda;

E del pennuto genere — Alle canore schiere
  La Diva diede l’ordine — Ora di non tacere.

La violata da Téreo — Vergin col canto dolce
  Del pioppo all’ombra l’etere — Ad ogn’intorno molce;

Talchè diresti esprimere, — Invece del lamento,
  Desir d’Amori teneri — In musico concento.

E la sorella in gemiti, — Diresti, non rivela
  Contro il marito barbaro — L’orror di sua querela.

Essa già canta, e taciti — Starem noi solo a udire
  Se primavera vedesi — Di nuovo a comparire?

Quando verrà che simile — A rondinella io sia,
  E fine al mio silenzio — Così da me si dia?
  Ami domane, ec.

  1. Uno de’ pochi poeti che non ripeta la stolida canzone del soave canto del cigno.
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