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110 il milione

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LXXX (XCV)

Come il Gran Cane tiene sua corte e festa.

E quando egli è venuto alla sua mastra villa di Cablau (Cambaluc), egli dimora nel suo mastro palagio tre dì e non piú. Egli tiene grande corte e grande tavole e gran festa, e mena grande allegrezza con [queste] sue femmine, ed èe grande maraviglia a vedere la grande solinitá che fa il gran sire in questi tre dì. E sì vi dico che in questa cittá ha tanta abondanza di masnade e di gente, tra dentro e di fuori della villa, che sappiate ch’egli ha tanti borghi quante sono le porti, cioè dodici molti grandi; e non è uomo che potesse contare lo numero della gente, ch’assai hae piú gente negli borghi che nella cittá. E in questi borghi albergano i mercanti con ogni altra gente,[1] che vegniono per loro bisogna alla terra e ne’ borghi. Hae altresí belli palagi, come nella cittá. E sappiate che nella città non si sotterra niuno uomo che muoia, anzi si vanno a sotterrare di fuori dagli borghi; e s’egli adora gl’idoli, si va fuori degli borghi ad ardersi. E ancora vi dico che dentro dalla terra non osa istare[2] niuna femmina di suo corpo che faccia male per danari; ma stanno tutte ne’ borghi. E si vi dico che femmine che fallano per danari ve n’hae bene ventimila;

  1. Pad. e molta zente viem a questa zita, a casion della corte del signor e delle gran mercadanzie...
  2. Pad. niuna pecatrize.
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