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canzone tartara.

I.

Largisce il cielo agli uomini il compenso delle pene e delle lacrime: beato il Fachir[1] che vede la Mecca nei tristi anni della sua vecchiaia.

II.

Beato colui che s’illustra morendo sulle gloriose sponde del Danubio: una celeste fanciulla gli volerà incontro, sorridendo d’amore.

III.

Ma più beato assai, o Zarema, colui che ebro di calma e di mollezza ti accarezza come rosa, nel recinto dell’harem.


Esse cantano. Ma dov’è Zarema la stella dell’amore, la perla dell’harem? Afflitta e pallida non ode le sue lodi; come una palma rabbuffata dai venti, essa piega la giovine testa; più niente può piacerle. Ghirei è cambiato! Ghirei non l’ama più.

Ma qual è la donna che ti si possa anteporre, o Zarema? I bruni capelli ti cingono due volte la nivea fronte; gli occhi tuoi son più chiari del giorno, più neri della notte. Qual voce sa meglio della tua esprimere gli slanci delle focose passioni? Qual bacio tenero è più vivo delle tue carezze? Come mai un

  1. Sorta di monaco che fa voto di povertà.
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