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CAPITOLO PRIMO.
Si affretta di vivere, s’affanna a godere.
Viasemski.
“Mio zio, uomo d’illibati costumi, godeva la stima di tutti ed era giunto al colmo dei suoi desiderii, quando in un subito ammalò sul serio. L’esempio suo potrà servir di norma ai posteri; ma che seccatura per me vegliar dì e notte accanto al suo letto nè osare discostarmene di un passo! Che brutta ipocrisia è confortare un moribondo, assettargli i guanciali, porgergli con volto afflitto le medicine, mentre si dice in disparte con un sospiro d’impazienza: “Ti levasse via il diavolo, maladetto vecchio!”
Viaggiando per la posta in mezzo a un nuvolo di polvere, così fantasticava fra sè un giovine scapestrato, erede, per voler di Giove, di tutti i suoi consanguinei. Ammiratori di Ruslano e Liudmila,[1] permettete che questa volta io, senza altri preamboli vi faccia fare amicizia col protagonista di questo mio nuovo romanzo. Il mio buono Eugenio Anieghin nacque sulle sponde della Neva ove forse nasceste voi pure, ove forse faceste bella figura, o miei lettori! Anch’io le conosco, e ci ho spesso passeggiato; ma il clima del norte m’è contrario.[2]