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eugenio anieghin | 171 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu{{padleft:212|3|0]]drone. Qui dormiva; qui beveva il caffè. Qui ascoltava i rapporti dell’intendente e leggeva in un libro la mattina.... Anche l’antico padrone dimorava in questa stanza. Tutte le domeniche, presso a questa finestra, mettendosi gli occhiali, giuocava meco al duraccèc.[1] Dio abbia pietà della anima sua e gli dia pace nella fossa, dentro la nostra madre terra!”
Taziana considerava tutto con attenzione e con intenerimento; ogni minima cosa le sembrava cara, e le destava in seno un sentimento mezzo gaio e mezzo tristo. La tavola colla lampada estinta; i libri ammucchiati senza ordine; il letto coperto d’un pesante coltrone; un ritratto di Lord Byron; una colonnetta sormontata da una statua di bronzo, col cappello abbassato sulla fronte tetra e colle braccia conserte al petto.... Taziana esamina tutto.... e poi s’affaccia per goder della campagna rischiarata dal pallido raggio della luna....
Quasi incantata, non può decidersi a lasciare quel gabinetto. Ma si fa tardi. Il vento è freddo, la valle è buia, e il villaggio dorme velato di vapori grigi. Già la luna tramonta... è tempo che la bella pellegrina rieda al paterno tetto. Procura di celar la sua emozione, ma non può pertanto reprimere un sospiro. Si dispone a partire; ma prima di lasciar quelle mura chiede licenza ad Anisia di tornare un’altra volta nel castello deserto per dare una scorsa ai libri sparsi sul tavolino.
Il giorno seguente, di buon mattino, Taziana era nel gabinetto d’Eugenio; e rimasta sola, in quella solitudine, in quel silenzio, dimenticando il
- ↑ Specie di tavola reale.