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xvi cenni intorno alla vita

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu{{padleft:23|3|0]]energico di quanto aveva scritto fino allora. Nondimeno il pubblico gustò poco questo nuovo capo-lavoro. Puschin provò molta afflizione di tale smacco. Per qualche tempo tenne broncio, poi si ritirò nella sua villa di Micailovschi. Lì si dilettò assai in vedere l’effetto che produceva tra quei buoni campagnoli. «Son divenuto l’oggetto della curiosità generale, dice in una sua lettera; Munito[1] non ecciterebbe maggiore attenzione. Quell’originale di N. N. ha fatto credere a un branco di bambini, i quali domandavano che cosa fosse il Puschin, esser io un fantoccio di zucchero da dividersi in tanti pezzi al dessert. I bambini vennero colla speranza di mangiarmi a modo di confetto.»

Puschin voleva svincolare la letteratura russa dalla imitazione straniera, e dal così detto stile classico. I numerosi fautori di questa scuola non gli potevano perdonare tale audacia, e gli mossero aspra guerra. Avvezzi a quell’antica schiavitù, rifiutavano la libertà che veniva loro offerta. Così i cani nati fra i ceppi amano le loro catene, e s’avventano con furore contro chiunque tenti di spezzarle. Simil sorte attende tutti i novatori, tutti coloro che dicono alle vili turbe: "Il giaciglio ove state è buio ed insalubre; venite fuori all’aria aperta e pura, al chiaro sole!" La gente li respinge a sassate. Vuol marcire nel covile in cui marcirono i suoi padri, e in quello vuole che marciscano i suoi figli.

Si pubblicavano in San Pietroburgo molti giornali, alcuni dei quali pagarono al gran poeta il debito tributo di lode, ma i più, fosse ignoranza, fosse gelosia, lo criticarono e insultarono in modo sì sconcio e villano, che peggio non si poteva trattare un malfattore. Puschin, da vero gentiluomo e da vero letterato, non si degnò mai di rispondere alle contumelie di quella inetta ciurmaglia; nè forse mai gettò

  1. Cane che leggeva, ballava e tirava di spada.
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