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190 | eugenio anieghin |
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Il Principe s’accosta alla consorte, e le presenta il suo collaterale ed amico. La Principessa lo saluta. E qualunque si fosse il turbamento, l’emozione, la meraviglia che essa provò in quel punto, seppe celarla in modo, che serbò la sua gravità, la sua calma, e riverì Eugenio con indifferenza.
No; essa non abbrividì, non impallidì, non arrossì a vicenda. Non increspò le ciglia, non si presse nemmen le labbra. Anieghin la contemplava attentamente, ma non poteva rinvenire in lei la Taziana d’altre volte. Volle dirigerle qualche parola, ma gli mancò la voce. Allora, la Principessa gli domandò da quanto tempo era giunto, e se veniva dalla loro provincia. Quindi i di lei occhi stanchi si fermarono sul generale, ed egli ed essa sparvero. Eugenio rimase immobile e stordito.
È questa quella stessa Taziana, alla quale l’austero Eugenio, nel principio della nostra istoria, dava lezioni di morale, in una villa remota e agreste; quella Taziana, della quale egli conserva tuttora un biglietto, schietta espression d’un cuore che svela apertamente il suo secreto?... È questa, quella stessa fanciulla, oppure è una altra? Come mai quella fanciulla ch’egli respinse con tanto stoicismo, e che lo amava tanto, divenne si indifferente e si ardita verso di lui?
Egli lascia il salotto troppo angusto. Torna a casa tutto pensieroso. Il suo sonno tardivo è tramezzato di visioni or triste or liete. Si desta; il cameriere gli consegna uno scritto. Il Principe NN. lo invita gentilmente a una soirée.[1]
- ↑ Mi rincresce assai di adoperare tante voci francesi; ma non si