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argia sbolenfi 31

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La nuova si sapeva dappertutto,
  Ma io la vidi sol nell’È Permesso,[1]
  36L’unico foglio serio e di costrutto.

Appena letto, allon! mi sono messo
  Le braghe dalla festa e il gabbanino
  39E son corso da lei come un espresso;

Ma siccome era chiusa in camerino
  A far dei versi al suo futuro sposo,
  42Fui ricevuto dal signor Pierino[2].

Che largo, liberale e generoso,
  Mi offerse cordialmente da sedere,
  45Ma il caffè no, perchè gli dà il nervoso.

«Ohi, chi vedo!» — «Tersuà» — «Bravo! ho piacere!
  Cosa porti? L’agnello?» — «Nossignori» —
  48«Peccato, che t’avrei dato da bere!» —

Così ciarlando, ecco l’Argia vien fuori,
  La qual, come saprai, ci diedi il latte,
  51(Ossia mia moglie) e latte dei migliori.

Era in disabigliè, con le ciabatte,
  Una sottana bianca e un zuavino
  54Che ci arrivava appena alle culatte.

  1. L’effemeride in cui videro la luce molte di queste rime.
  2. L’onorando Signor Pietro Sbolenfi, degno genitore dell’autrice, cui è dedicato il volume.
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