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92 | lettere di fra paolo sarpi. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:100|3|0]]molti e grandi; ma Dio perdoni a chi favoriva più i nemici che gli amici. Cessata in parte quella occasione, mi son risoluto di mutare la trattazione con monsieur di Thou; e già per il corriere passato gli scrissi una lettera, dalla quale credo resterà soddisfatto.
Io non farei fine di trattar con V.S., senza rispetto della noia che gli do; ma instando l’ora di spedire le lettere, farò fine, pregando Dio, che doni ogni felicità a V.S.; alla quale bacio la mano.
- Di Venezia, il 22 giugno 1610.
CXLV. — Al nominato Rossi.[1]
Non è occorso mai successo nella mia età, del quale più lungamente si parlasse e più universalmente, quanto della morte del re. La quale, ben considerata, a lui non è stata importuna, che ha finito i suoi giorni pieni di gloria e di contento, lasciando di sè infinito desiderio a tutti i buoni; ma ben importuna al regno ed agli amici, i quali sopra la vita di lui fondavano grandi speranze. Siccome il caso di tanta morte è stato inaspettato, così non si poteva credere tanta unione quanta si è veduta nei grandi, nella nobiltà e nel popolo: e a stabilire il regno conquassato da tanto caso, Dio faccia che tanta unione sia perpetua; perchè è da temere quando il papa ed i Romani semineranno il Diacatholicon, del quale è noto il bene. Certa cosa è che non potrà compatirsi col bene di Francia. Quelli
- ↑ Fra le edite in Capolago ec., pag. 219.