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116 | lettere di fra paolo sarpi. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:124|3|0]]fessa dipendere dal re d’Inghilterra, e da lui è proposto per capitano alla Repubblica. L’essere di Lorena mi spaventa, e il fresco esempio di Vaudemont.
Quanto al regno di Francia, certa cosa è che li grandi non possono esser senza ambizione e desiderio d’avanzarsi, e, per conseguenza, senza concorrenze e disgusti tra loro. Quel di ciò che apparisce non debbo dar maraviglia, anzi bisogna per necessità aspettarne di più. Il tutto è, come bene V.S. discorre, che li popoli siano savi nel tempo futuro, come nel presente. Le cose passate doverebbono esser loro per documento, perchè, finalmente, nei tumulti di già essi soli hanno patito. La quiete fa per i popoli, e il moto per i grandi.[1] Le città nei tumulti passati sono state le più pazze; ragione è bene che siano ora le più savie.
Io non sento con buon animo a lodare Condé, quantunque abbia per intimo monsieur di Thou. Questo indubitatamente è incorruttibile; ma che bene spereremo da quello, hostium artibus infecto? li Reformati faranno molto bene a congregarsi e stabilir le cose loro prima che nasca alcuna confusione; perchè allora con gran difficoltà si fanno le cose, che in tempo di quiete s’ordinano con facilità.
Quel Conchino[2] mi pare una scintilla per metter
- ↑ Così scrivendo il Sarpi, doveva pensare alle condizioni materiali del popolo, e non ad altre d’ordine più elevato; circa alle quali ci ha più volte fatta conoscere altrove la sua opinione, mostrando desiderare, non che il moto, la guerra. Vuolsi altresì considerare che non parlasi in questo luogo di guerre esterne, ma di discordie e guerre civili.
- ↑ Comunque sia qui scritto o voluto scrivere questo nome, pare da intendersi pel Concini o maresciallo d’Ancre; uomo cui la frenetica ambizione rese pernicioso alla Francia e all’Italia, e funesto a sè stesso ed alla propria famiglia.