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lettere di fra paolo sarpi. 121

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:129|3|0]]iam minatur, sed blanditur, e che il fine è comune, cioè la quiete.

Io son stato molto tedioso a V.S., per quel che m’accorgo; e vedo d’esser in obbligo di finire. Le dirò solo di Fra Fulgenzio, esser opinione anco delli stessi cortigiani romani, che gli sia stata violata la fede; e la medesima sentenza che hanno letto pubblicamente nella chiesa di San Pietro, mostrava che non meritasse quel fine. Prego Dio che doni intiera sanità a V.S., alla quale bacio la mano.

Di Venezia, il 14 settembre 1610.




CLII. — A Giacomo Leschassier.[1]


Lessi con sommo piacere la sua lettera del 24 agosto; e mi godè l’animo udendo che Ella attende a scoprire gli artifizi dei Gesuiti, essendo necessità di far chiara a tutti la loro sediziosa e scellerata dottrina, acciò possiamo renderci sicuri delle loro insidie. Quello che i Gesuiti insegnano in proposito del regicidio, è, al mio parere, un perniciosissimo dogma, perchè ne viene il sovvertimento della cosa pubblica: ma l’insegnare ch’essi fanno, come sia lecito usare senza peccato gli equivoci di parole e la restrizione mentale, colla qual dottrina si distrugge ogni umana convivenza, e l’arte d’ingannare, di cui nulla v’ha più dannoso, si pareggia alla virtù; questa dottrina oso dire esser anco più perniciosa dell’altra


  1. Tra le stampate in latino, nelle Opere dell’Autore, pag. 88.
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