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126 | lettere di fra paolo sarpi. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:134|3|0]]cherebbe di adoperarsi per la libertà d’Italia, nè per ciò perdonerebbe a spese e a fatiche. Ora è sì aliena dalla guerra, che non vorrebbe nemmen dare al Savoino buone parole, acciò in queste fidando, egli non osi di più intraprendere contro gli Spagnuoli e venga ad assalirli, od anche porga maggiori occasioni onde sieno costretti ad impugnare le armi. Frattanto, la Repubblica ha vie più munite le sue fortezze, e preparate quante armi stimò necessarie alla difesa del suo dominio. Ma se il re di Spagna terrà in piedi le squadre durante l’inverno, anch’essa a primavera farà d’apparecchiare un giusto esercito. Per tutto restringere in una sola parola, o tutti quelli che in Italia hanno Stati abborriscono dalla guerra; o il solo duca di Savoia la farebbe, quando se ne offrisse l’occasione.[1] Tal è lo stato dei pubblici affari; ma V.S. ricorda bene che non sempre accadono quelle cose che gli uomini vorrebbono; e che i fati conducono chi vuole, e chi non vuole trascinano.[2]
Rispetto a ciò ch’Ella dice, che non le consti la impurità della chiesa di Corinto, non posso maravigliarmene; perchè talmente siam fatti, e non senza ragione, che in tutto ci giova deferire all’antichità; e ciò dipende dalla nostra stessa natura, per la quale abbisogniamo d’esser mossi dagli esempi. Ma impura io la chiamai, pensando a ciò che san Paolo aveva a’ quei popoli rimproverato. Perocchè, se alla