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lettere di fra paolo sarpi. | 7 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:15|3|0]]tre mesi, che un abbate[1] venne condannato all’esilio, sotto pena del capo. Non è ancora passato un mese, un certo prete e parroco venne impiccato in pubblico e senza farvi precedere la degradazione;[2] nè tuttavia il papa mosse lamento. Ma noi ci addormentiamo in queste piacevolezze, delle quali sarebbe a desiderarsi che non avessimo gustato giammai. Spinto da’ suoi consigli, mi posi ad esaminare diligentemente gli articoli dell’anglico giuramento;[3] affinchè possano rivendicarsi dalla infamia che ad essi è data dai nostri, pensando questi che ancora le buone parole sieno da sinistra intenzione pregiudicate; nè badar vogliono a queste, ma solo alla persona che le proferisce.
Delle cose dei Turchi non abbiamo nulla di nuovo; salvo che alcuni sospettano che vi sarà guerra in Ungheria, perchè l’ambasciatore di quel principe fu trattato in Praga tanto disumanamente e barbaramente, che peggio non poteva farsi.[4] Non ammesso alla presenza dell’imperatore, nè degnato di risposta; anzi gli fu ingiunto di uscire dai confini in un tempo stabilito: e tutto ciò senza saputa dell’imperatore (che vive ignaro di ogni cosa), e per le brighe dei legati del papa e del re di Spagna; i quali vorrebbero riaccender la guerra in quel regno, appunto perchè i Tedeschi col nemico alle porte non pensino a riformare le cose civili. Il che Dio voglia che riesca a bene; mentre non manca chi pensa che