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164 lettere di fra paolo sarpi.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:172|3|0]]conto del cardinale, l’ultima proibizione fu fatta sotto pena della galera, mentre la prima non aveva pena. Non mosse mai osservazioni l’ambasciatore inglese; il quale se avesse fatto lagnanze o dimandato il decreto... Ho detto abbastanza: sovente, mentre vogliam parere di spregiare le cose vili, trasandiamo le grandi. Ora, come venne in luce il libro di Bellarmino contro Barklay, presosi a deliberare, seguitarono il pregiudizio di procedere come prima, e fu vietata ai librai l’importazione e vendita di esso sotto pena della galera, e fu imposto ai corrieri che venivan di Roma, che non dessero ad alcuno i libri da sè portati prima che fossero veduti dalle persone a ciò deputate. A tanto si procedè, e con intenzione di fare anco di più. A Roma nè il papa nè i cardinali mossero lamento nè parola; ma lo stuolo minore dei cherici mormorò contro i Veneziani, perchè mettessero mani e lingua in cielo, affibbiando loro il titolo di eretici e altri somiglianti che sogliono regalare a chi non fa il papa quasi eguale a Dio. Con questo parmi aver reso esatto conto delle cose seguite, e dimostratole quel che sia a sperare da noi.

In Ispagna, un cotal uomo dotto e prudente scrisse contro il Baronio sulla monarchia della Sicilia:[1] l’ambasciatore spagnuolo dimorante a Roma, volle che se ne recasse là un esemplare, e lo consegnò a un certo religioso francescano riformato, perchè lo voltasse in italiano. Il papa, come lo seppe, comandò subito che il frate fosse messo in carcere; ma questi avvisato fuggi, e trovò scampo nella casa


  1. Quest’opera che il Baronio aveva scritta contro l’indipendenza del regno delle due Sicilie, gli fruttò la esclusione dal papato, datagli per ordine del re di Spagna.
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