< Pagina:Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

lettere di fra paolo sarpi. 165

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:173|3|0]]dell’ambasciatore. Il papa se ne lagnò in modi aspri e duri coll’ambasciatore, e non so che altro avvenisse; ma il frate fuggi da Roma, riducendosi salvo nel regno di Napoli. Ciò le espongo, acciocchè veda quanto sieno costoro solleciti a sostenere a dritto e rovescio i propri interessi, e quanto pecchino gli altri di negligenza, per tener a vile negozi importanti, quando essi curano gl’infimi. I quali riflessi mentre poniamo innanzi ai nostri conterranei, essi tutto tirano a bene, e al silenzio del papa e dei cardinali dànno nome di riservatezza, e pensano non doversi provocare più oltre. Io commendo assai l’operato a Nimes; sicchè, se costì imprenderete qualche cosa, crescerete coraggio a noi pure. I nostri sono tutti nemici alla curia romana: alcuni ne detestano gli abusi; altri pensano doversi compatire, come frenesie di una madre. Ma sul conto de’ Gesuiti, sono tutti d’un animo solo. Io vorrei che Iddio guardasse sopra di noi benignamente; come Lui prego eziandio che voglia custodirla in salute e in quella sollecitudine che mostra per liberarci da siffatte pesti. Perocchè non ci deve cader dall’animo la speranza di buona riuscita: basta che non ci vinca la poltroneria, e sappiamo emulare lo zelo degli avversari. La prego a salutarmi, se a caso lo vedrà, il signor Gillot. E le confermo la mia molta reverenza.

Di Venezia, li 25 novembre 1610.




CLXII. — Allo stesso.[1]


Pel corriere ricevei due lettere di V.S.; la prima del dì 4 ottobre, l’altra del 5 novembre. Stupisco


  1. Stampata come sopra, pag. 94.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.