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200 | lettere di fra paolo sarpi. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:208|3|0]]cora prego che doni a V.S. ogni vero bene; alla quale bacio la mano, insieme col signor Molino e P. Fulgenzio.
- Di Venezia, li 29 marzo 1611.
CLXXIII. — Al medesimo.[1]
La presente sarà per risposta di quella di V.S. de’ 13 aprile, la quale ho ricevuto per l’ordinaria via di Barbarigo. Sono più giorni che io ho sentito con dispiacere la caduta di Castrino; del viaggio del quale per queste parti io non ho inteso niente: ma potrebbe esser vero per qualche disegno che avesse d’ottener alcuna cosa da un fratello che ha in Ferrara;[2] il che se è, mi dispiacerebbe, essendo io certo che non otterrà cosa alcuna, per esser quel tale mancipio de’ Gesuiti. Io non vorrei già che entrasse in pensiero d’andar personalmente in quel luogo, riputando la cosa di gran pericolo. Se sarà veduto qui, io non mancherò di servirlo dovunque potrò; se bene questo luogo è più da far cader persone, che da raddrizzar caduti.
Da monsieur Assellineau ho ricevuto la censura della Sorbona scritta a mano, la quale mostra bene qualche debolezza negli autori; ma pur questo principio di disparere, scaldandosi, potrà anco invigorir gli spiriti deboli. Ho inteso quello che ritarda la
- ↑ Edita, come sopra, pag. 348.
- ↑ Ecco un indizio assai valutabile che il Castrino, di cui si parla sì spesso, fosse italiano e pregiudicato in fatto di credenze religiose; onde potesse essergli di pericolo il recarsi in città sottoposta alla Chiesa, come Ferrara. È perciò ancora da cancellarsi parte della nota da noi posta a pag. 23.