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lettere di fra paolo sarpi. | 217 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:225|3|0]]indebolirebbono li Gesuiti, che sono li più opposti alla vera Religione, e s’aprirebbe via a concordare con li Gallicani. Non ci è impresa maggiore che levar il credito a’ Gesuiti: vinti questi, Roma è persa, e senza questa la Religione si riforma da sè.[1] Questo le dico avendo saputo l’estremo dispiacere sentito a Roma per la disputa de’ Giacobiti, e l’avvertimento dato al nunzio di guardarsi da simili occorrenze. A pigliar un consiglio, basta saper che l’avversario lo sfugga, senza che santo Paolo ne ha dato esempio a...[2]
Se V.S. si ritrova ancora nello istesso luogo, la prego far li miei umili baciamani a monsignor Du Plessis;[3] e facendo qui fine, faccio a V.S. umil reverenza, insieme con il signor Molino e il padre Fulgenzio. Diverse cose avrei da dirle, ma non ardisco metter tutto in carta sino a tanto che avrò nuova che la cifra sia giunta; e allora con maggior libertà potremo esplicar l’un l’altro il nostro sentimento. Dio la conservi.
- Di Venezia, li 5 luglio 1611.
- ↑ Comunque, secondo le opinioni e le passioni diverse, queste parole sieno per essere interpretate, noi le raccomandiamo alla meditazione dei lettori, per ben comprendere lo spirito ed il finale intento del Sarpi.
- ↑ Lacuna della prima edizione.
- ↑ A cui, dopo 40 giorni, l’impavido Servita tornava a scrivere gli arditi concetti che ci sarà dato di scorgere nella Lettera CLXXXI.