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220 lettere di fra paolo sarpi.

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CLXXIX. — Al medesimo.[1]


Per questo corriere ricevo quella di V.S. delli 28 giugno, la quale mi rende dispiacere per l’avviso della sua podagra. Mi pare che sia troppo frequente; e se bene è purgazione de’ mali umori, e per consequente lascia più sane le altre parti, con tutto ciò io esorto V.S. a darle manco occasione che può di ritornare. Io non credo ch’Ella commetta altra sorte di disordini, salvo che eccesso di occupazioni di mente: da che io desidererei che procurasse d’astenersi.

Ho inteso il fine dell’assemblea, così per le lettere di V.S., come per altre di Parigi; e il rimettere della regina al Consiglio parmi cosa molto pericolosa. Dio faccia che quel che seguirà, succeda a sua gloria. Ma io temo assai; nondimeno mi ricordo di quello che disse il savio: In melius adversa, in deterius optata feruntur.

Li pensieri de’ Spagnuoli si scuoprono alla giornata tutt’altri di quelli che avevano vivente il re Filippo II. Ho veduto una esposizione fatta al re dal regno d’Aragona sopra l’interdetto di Saragozza, e mi pare molto libera, e mostra ch’essi anco vadino a via di aver libertà ispaniche, come in Francia sono le gallicane. Ma importa più che il re ha fatto il suo terzogenito abbate, e già li ha dato una abbazia in Portogallo che importa più di 100 mila ducati. Questo assorbirà col tempo non solo una gran parte delle entrate ecclesiastiche, ma ancora l’autorità; e come sarà nella casa regia,


  1. Stampata come sopra, pag. 383.
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