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230 | lettere di fra paolo sarpi. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:238|3|0]]cune genti licenziate da lui. Io non so bene che cosa sia nè maggior particolare di quello che scrivo, ma so bene ch’è cosa di momento e di conseguenza.[1] Faccia Dio, che ogni cosa succeda a sua gloria!
Io feci parte a monsieur Assellineau di quanto V.S. mi scrive nella sua ultima dei 25 luglio; e feci ancora l’ambasciata al signor Molino, il quale non desidera altro che farle cosa grata.
Nella cifra io non credo che vi possa esser cosa che dia difficoltà, se non quando si separasse le dizioni che sono congiunte con l’apostrofo, le quali io pongo sempre per una.
Nella causa di Ceneda il papa delude la Repubblica con somma arte: non si può prevedere ancora se perciò debba seguir rottura. La Repubblica ha bandito il vicario episcopale di Padova, perchè teneva per scomunicate alcune monache per essere ricorse al Principe, essendogli levato un beneficio dal papa. Alcuni monaci di Padova, avendo molte baroníe tutte possedute da loro, avevano formato una giurisdizione sopra i contadini, la quale gli è stata levata, con disgusto del papa. Roma sopporta ogni cosa, ma finalmente converrà ovvero rompersi ovvero perder tutto. Il papa ha creduto far dispiacere, non facendo cardinale alcun veneto; ma i buoni l’hanno per cosa di pubblico servizio.
Sto con molto desiderio di veder l’opera di monsieur Du Plessis,[2] particolarmente per le Epistole al re. Delle cose di Germania abbiamo nuove tanto