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lettere di fra paolo sarpi. | 283 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:291|3|0]]che se non fosse per ragion di stato, si troverebbero diversi che salterebbero, da questo fosso di Roma, nella cima della Riforma; ma chi teme una cosa, chi un’altra. Dio però par che goda la più minima parte de’ pensieri umani.[1] So ch’Ella mi intende senza passar più oltre. Mi confermo suo, come fanno ancora gli altri amici.
- Di Venezia, il 18 febbraio 1612.
CXCIX. — A Giacomo Leschassier.[2]
Siccome la sua sollecitudine per me proviene da squisitissima cortesia, così l’ho pure in conto di vero benefizio. E acciocchè V.S. conosca affatto le mie condizioni, desidero ch’Ella sappia, esser tali i costumi del nostro paese, che coloro che si trovano nel grado dov’io ora mi trovo, non possono perder la grazia di chi governa senza perdere ancora la vita. Da tal sorte nessuno potrebbe andar esente; ed io sempre opero come si conviene a buono e fedel suddito, e del rimanente lascio la cura a Dio. Ma frattanto mi maraviglio com’abbia potuto spargersi la falsa voce di cui mi parla,[3] e che si vogliano coloro i quali divulgano queste e simili fiabe.
- ↑ Non sembrandoci felice questo modo di esprimersi, ne daremo la spiegazione: Pare che a Dio si pensi meno che ad ogni altra cosa.
- ↑ Edita in latino, tra le Opere ec., pag. 99. Manca della data, ma per esservi ripetute le parole stesse della precedente: “Morì ieri Giovanni Marsilio„ (pag. 282), abbiamo con sicurezza potuto riferirla a quel giorno medesimo.
- ↑ Cioè, che il Sarpi fosse decaduto dalla grazia del