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298 | lettere di fra paolo sarpi. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:306|3|0]]gione: che si venga a qualche risoluzione contro il libro del Sindaco,[1] o dal clero o dal senato o da qualsivoglia altra autorità. Mirano a ottener questo, perchè si paia a Roma che non la pensano a quel modo tutti i Francesi che godono di legittima autorità e pubblica rappresentanza. Ciò tengo per indubitato, e come di tale ne scrivo.
CCV. — Al medesimo.[2]
Pare ch’abbia adoperato da senno il Richer, che nel porre a luce le dottrine della Sorbona, non tenne dietro alle proprie opinioni, ma al sentimento comune. Perocchè il diportarsi altrimenti è come fare un buco nell’acqua, acquistandosi odio. Io ho per costume, quando debbo dir qualche cosa, di prefiggermi a fine la verità, e di essa pigliar quella parte che possa acconciarsi ai tempi. A quel che taccio, non dico però alcun che in contrario, sicchè sempre aperta resti una via per avanzar di più, e a me stesso mai non contraddire.[3] Allorchè vidi l’opuscolo del Richer, venni in grande fidanza che voi altri foste per rivendicarvi in libertà, costituendovi in esempio a noi; pur mi pungeva qualche sospetto e, dirò veramente, angoscia, che vi si preparasse occasione di più duro servaggio. E non ho perduto ancora ogni speranza, sebbene sembri che le lettere