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318 | lettere di fra paolo sarpi. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:326|3|0]]avvenuta in Roma gravi la coscienza di tutti quelli a cui vengano per qualsiasi mezzo a notizia.
Non so come Ella dubiti che si possa dare a voi altri per amministratrice la infanta di Spagna. Sicuramente che vi si darà, se non ci mettete riparo; e sì bene apparecchiata per virtù di suggerimenti, aderenze e danaro, che in cambio di farsi essa stessa francese, tramuterà voi stessi in Spagnuoli.
La mia preghiera circa le lettere che inviai al signor Gillot, non aveva la mira importuna d’invitar quell’egregio, distratto da tanti affari e studi, a rispondere; ma di confortar me nella sicurezza che le avesse ricevute.
È giunta qua la novella che fosse morto un nobile di Palermo, devotissimo ai Gesuiti, il quale per testamento instituì eredi l’unico figlio ed essi Padri; commettendone però la esecuzione ai soli Gesuiti, e ordinando ch’essi spartissero la eredità e dessero al figlio una porzione di lor piacere, tenendo il resto per sè. I buoni Padri divisero l’asse in dieci parti, e, riserbate le nove alla Compagnia, ne assegnarono una al figliuolo; il quale ricorse al vicerè duca di Ossuna, lamentandosi di tanta ingiustizia e chiedendo riparazione. Il vicerè, ascoltate le ragioni delle parti, decretò che stesse in piedi la divisione, ma ne fosse invertito l’ordine; rilasciandosi le nove porzioni al figlio e l’una ai Gesuiti.[1] Ma in loro pro si farà a Parma la confisca dei beni (eccettuati i
- ↑ È ripetizione un po’ più particolareggiata del fatto narrato anche nella Lettera precedente. Il duca d’Ossuna era, come tutti sanno, un pazzo e un briccone; e se questa volta gli accadde di raddrizzar la giustizia secondo la legge naturale, sarà ciò stato per conciliarsi quella popo-