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lettere di fra paolo sarpi. 319

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:327|3|0]]feudi) di sette nobili Parmensi, che congiurarono contro la persona del duca, e perciò furono morti; dal che verrà all’Ordine un grande prosperamento.[1]

Nient’altro di nuovo qui; tranne che Francesco conte di Castro, regio ambasciatore delle Spagne a Roma, il quale si tratteneva in Napoli per ristorar la salute, ebbe intimazione a un tratto di restituirsi in Roma per assistere ai capitoli dei Francescani e Domenicani, e curar la elezione, per parte d’ambidue gli Ordini, di un generale spagnuolo. Il che penso che avrà certamente effetto. M’accorgo che con queste chiacchiere avrò interrotte più del convenevole le occupazioni della S.V. eccellentissima: onde fo qui fine, baciandole le mani.

Li 5 giugno 1612.



[2]


CCXII. — Ad Isacco Casaubono.[3]


Ho provato veramente una grande allegrezza nel sentire che V.S. ha stabilita da un anno la sua dimora in Inghilterra.[4] Io temeva per Lei quando si fosse trattenuta a respirare l’aere italico, come aveva


  1. Noi non sappiamo le arti che i Gesuiti poterono aver adoperate per conseguir questo intento; ma il debito dell’imparzialità ci obbliga a dichiarare che non ad essi furono dati i beni appartenuti agli infelici che il tiranno avea spenti, ma invece ripartiti in cause varie ed istituzioni di beneficio universale, secondo la formula e le disposizioni di una grida ducale del 20 maggio 1612.
  2. larità alla quale, per suoi fini, aspirava. Negli addebiti che furono contro lui presentati alla Corte di Spagna, non è certamente quello di essere stato avverso ai Gesuiti.
  3. Dalle Opere come sopra, pag. 118.
  4. Vedi la nota 1 a pag. 128.
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