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lettere di fra paolo sarpi. | 331 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:339|3|0]]buon viso a quel che s’accomoda alle cupidità dei più? Pure i buoni non devono disperare: fu peste di tutti i secoli, che per il divino onore e la verità combattessero i meno. Pur combatterono sempre e con tutta la lena, e Dio fu propizio a’ loro conati. Oggidì dobbiamo nutrire le stesse speranze.
Lodo la S.V. che abbia dismesso lo scrivere, e si dia alla pubblicazione di libri antichi, per far la via al vero e cansare la invidia e le persecuzioni. Io medesimo non avrei mai posto mano a scritture, se non mi ci avesse costretto la necessità. Vedo ch’ogni dì più infierisce la baldanza de’ Gesuiti; ma non avrei pensato che giungesse al segno di negare apertamente fiducia al Senato di Parigi, quando niuno mai in tanti anni ne ha palesato ingiurioso sospetto, e tutto il mondo ne ha accolto stupefatto i giudizi.
Ho letto attentamente la orazione che pubblicarono come proferita al senato da Montolon:[1] lo stile mi par tutto del Coton, e non si può credere che il Montolon arringasse sì prolisso. È degna, a mio credere, che si legga siccome saggio della temerità della Compagnia. Godo di tutto cuore che i nemici non valessero a balzare Richer dal sindacato: sarebbe invero stata una rovina pe’ buoni studi. I quali bramerei che egli in bene ordinata opera sostenesse e patrocinasse; e ho meco consenzienti tutti i buoni.
La nostra corrispondenza epistolare si ravviverà
- ↑ La famiglia dei Montholon produsse una lunga serie di eccellenti giureconsulti. Quello di cui si parla fu Giacomo di Montholon, avvocato al Parlamento di Parigi, che in quei giorni aveva scritto un’aringa in favore dei Gesuiti, ed era figlio del celebre Francesco, che morì essendo guardasigilli della corona.