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lettere di fra paolo sarpi. 351

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:359|3|0]]loro colonia gli stati di Cleves, mostra che all’avvenire debbino poter manco che per lo passato; se però, quando si verrà ai fatti, non si trovi qualche discordia seminata tra gli Stati, la quale li renda impotenti e deboli: di che dubito grandemente, e prego Dio che non sia. Sono restato tutto pieno di ammirazione di quello che V.S. mi scrive, essere scacciati gli Spagnuoli da tutte le Molucche,[1] perchè di ciò non abbiamo nessuno avviso, e io desidererei molto di esserne ben certificato. Le cose che vanno succedendo alla giornata sopra il fatto di Richer, sarebbe una vittoria di molto gran momento, la quale siccome desidero, così non ardisco sperare. Ma ben prego V.S. avvisarmi di tutto quello che succederà.

A quello che V.S. mi dimanda, la morte del doge Donato, che sia in gloria, non ha fatto nissuna novità in questo governo, per la perfezione degli ordini che ha nel maneggiare le cose interiori; ai quali se fossero uguali quelli che toccano l’esterno, sarebbe il miglior governo del mondo.[2] Grande è la perdita della Repubblica nell’essere privata d’un tal soggetto, come d’un prudente e savio senatore; ma come di Principe, non è assolutamente niente. Questa è buona e debole persona. In cose di Roma non parlerà, perchè ha figlio prete.[3] Credo di aver


  1. Sino dal 1607, gl’indigeni di quelle isole, profittando delle discordie già state pel loro possesso tra Portoghesi e Spagnuoli, e degli aiuti lor dati dagli Olandesi, cominciato avevano ad asserire ed attuare anche in parte la loro indipendenza.
  2. Gli studiosi della storia e della politica italiana non potranno non far caso di questa tanto esplicita sentenza, e di giudice sì competente, com’era il nostro Consultore.
  3. Si noti da chiunque cerca o desidera la indipendenza degli Stati.
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