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lettere di fra paolo sarpi. | 382 |
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CCXXXIII. — Al medesimo.[1]
Il non aver veduto lettere di V.S. per questo spaccio, mi fa credere, con molto senso di dispiacere, ch’Ella sia stata riassaltata dalla chiragra: al che temo ch’Ella presti occasione con voler adoperar la mano innanzi la sanità interamente ricuperata. In fine è necessario, volendo servirsi dell’animo, tener cura ancora del corpo.
Io sento gran piacere che da ogni canto s’intenda le cose di Francia essere assai quiete: così Dio faccia che il bene perseveri. È bene fama che in Inghilterra vi siano diversi moti, ma, non so se per la lontananza o per la segretezza, qui non sono penetrati; o forse la causa è perchè ognuno è attento alli moti de’ Turchi, e a pensar che rimedi saranno posti dalla Germania. L’imperatore dimanda aiuto dal pontefice, ma quanto fa bisogno egli non può somministrare; e quello che può, aiuterebbe poco l’imperatore, e incomoderebbe lui assai. Dimanda ancora il re di Polonia denari al medesimo pontefice, il quale si spaventa intendendo che quel re abbia sette milioni di debiti.
Vengo accertato che i Turchi favoriscono grandemente l’Evangelio in Ungaria; che mi pare gran maraviglia. Ma Dio si serve d’ogni instrumento a bene. Il convento tra papisti e nostri per li confini[2] è disciolto con arte. Piaccia a Dio che ogni cosa torni in gloria di sua Maestà; la quale anco prego