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lettere di fra paolo sarpi. 415

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:423|3|0]]denza divina, affinchè egli, colpito da un privato infortunio, sostenesse con più calore la comune causa. Il che voglia il Cielo che sia.

I documenti comprovanti la regia autorità sui pontefici, che la S.V. ha raccolti, riusciranno sopra ogni altro un lavoro profittevole a tutto il mondo, procedendosi a questi tempi più per esempi che per argomentazione. È forza sudar molto in questa materia, ed altre di tal natura. Poichè il richiamare gli abusi a’ loro principii, vale lo stesso che confutarli.

Non so poi s’io debba rammaricarmi o sentire allegrezza per aver voi ricettato la Congregazione dell’Oratorio. Anche le piccole contagioni non sono da spregiare. Di qui vennero i Baronii, i Bozy e gli altri, che non riconoscono altro Dio all’infuori del papa. Non sono però amici dei Gesuiti, ma piuttosto rivali.[1] Pur finalmente inchino a crede di doverne far festa. I morbi non vengono in declinazione se prima non toccarono il colmo.

Mi congratulo con la V.S., per il bene dell’universale, che metta l’ultima mano alla raccolta degli Atti del Senato. Ho in animo di communicarle assai cose in proposito; ma conto poterlo fare nel seguente anno, in cui speriamo d’accogliere nel Regno l’egregio legato[2] del nostro Principe. Qui nulla di nuovo, tranne le giornaliere trame de’ Gesuiti e loro compagni curialeschi. Ma non sono faccende da consegnarsi a lettere: ad essi è permesso dir tutto;


  1. Così era in quei giorni, e più non è, disgraziatamente (anche per l’ingenua fede), ai dì nostri. Un gran senso, e terribile a meditarsi, è pure nelle parole con che il Sarpi conchiude questo memorabile paragrafo.
  2. Il sempre decantato e sperato ambasciatore Barbarigo.
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