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lettere di fra paolo sarpi. 39

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Io sto con grandissima attenzione a vedere, se la guerra si rompesse tra noi e li loro amici, come essi si porterebbono con noi, e come noi con loro.

Sino al presente ho creduto, che il principe di Condé avesse qualche fondamento della sua azione: or credo tutto il contrario, e non gli pronostico così poca mala ventura, come già a Carlo della medesima casa. Se il marchese di Cœuvre sarà fatto maresciallo, si potrà dire: Primum, species digna est imperio.

Credo che V.S. avrà ricevuta la cifra, la quale però io non adopererò prima che non abbia da lei avviso certo. Quello che li manderà la presente, le dirà anco qualche cosa di quel che le scrivo.

Il signor Domenico Molino e il padre maestro Fulgenzio li baciano la mano.

Di quell’altro Fulgenzio non si parla più, e credo che per lui il mondo sarà presto finito. Quell’altro Marc’Antonio,[1] che partì di qua quando V.S. vi si ritrovava, è in malissimo stato, per non avere di che vivere, e per il timore ch’il male d’altrui gl’insegna avere. Prego Dio che li doni pazienza: il quale anco prego che doni a V.S. ogni contento di spirito, e grazia di vedere qualche riformazione delli nostri abusi, li quali sono della natura di che dice Ippocrate: Quæ pharmacum non curat, ferrum curat. Con che le bacio la mano.

Insieme con la primiera, verrà la risposta del [2]


  1. Sospettiamo che debba leggersi “Pietr’Antonio,„ e che voglia parlarsi dell’arcidiacono Rubetti; di cui vedi la Lettera XLIV ec.
  2. no) le loro novelle figliuole, dette Suore della Carità, che oggi servono santamente, e per mêra e schietta penitenza, negli Spedali d’Italia!
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